L’ idea di utilizzare il grasso come materiale di riempimento (filler) non è affatto recente e, anche se alcuni la fanno risalire addirittura a due secoli fa, nel 1950 fu pubblicato il primo articolo che descriveva il comportamento del tessuto adiposo autologo (cioè grasso prelevato dal paziente stesso) infiltrato per la correzione del profilo corporeo. La tecnica, presto identificata con il nome di lipofilling, si è da allora ampiamente diffusa, mostrando tuttavia diversi limiti (soprattutto la scarsa durata della correzione ottenuta) e qualche controindicazione. L’ idea di poter ingrandire alcune aree corporee utilizzando tessuto adiposo che sia naturalmente in eccesso è però tanto attraente da aver spinto diversi chirurghi a sviluppare ulteriormente il concetto, affinando la tecnica all’ estremo e rendendo la correzione ottenuta con il lipofilling soddisfacente e permanente nella maggior parte dei casi. Nel 1998 il dott. Sidney Coleman ha presentato i risultati ottenuti con una speciale tecnica di preparazione ed infiltrazione del tessuto adiposo, da lui denominata Lipostructure (lipofilling strutturato o lipostruttura, nella comune traduzione italiana). Data la sua derivazione dal lipofillling, la lipostruttura può essere compresa in tutti i suoi aspetti soltanto se sono chiari gli aspetti relativi all’ intervento ‘progenitore’ ed i limiti che la nuova tecnica si propone di superare. Questo articolo descrive gli aspetti principali di lipofilling e lipostruttura, soffermandosi sulle indicazioni e controindicazioni di quest’ ultima.
L’ infiltrazione di grasso prelevato dallo stesso paziente, o lipofilling, è un semplice caso di innesto di tessuto. Tecnicamente, l’ innesto viene definito come il trasferimento di uno o più tessuti senza che ne venga mantenuta la continuità vascolare con la loro sede di origine: nel caso del lipofilling il tessuto adiposo (grasso) viene aspirato dove è in eccesso tramite cannule collegate a siringhe e poi reiniettato a distanza nell’ area corporea da trattare. Poichè negli innesti non viene conservata alcuna connessione vascolare, il tessuto trasferito può sopravvivere nella nuova sede soltanto se si trova a diretto contatto con altri tessuti ben vascolarizzati, dai quali trarrà nutrimento inizialmente per semplice imbibizione e successivamente formando vere e proprie nuove connessioni vascolari. E’ quindi evidente che, se il grasso viene iniettato in grandi quantità, non tutte le cellule adipose saranno a contatto con tessuti vascolarizzati, ma anzi la maggior parte di loro si troverà isolata all’ interno del ‘bolo’ infiltrato e senza possibilità di sopravvivenza. In questa semplice osservazione è racchiuso il limite principale del lipofilling: l’ impossibilità di effettuare grosse correzioni senza andare incontro alla necrosi ed al riassorbimento (o peggio all’ infezione…) di buona parte del grasso innestato. D’ altro canto, è osservazione comune che il lipofilling funzioni molto bene quando si infiltrano piccole quantità di grasso in tessuti ben vascolarizzati come il muscolo: su queste basi Coleman ha sviluppato una sua personale evoluzione tecnica, conosciuta come lipostruttura.
La lipostruttura, ideata dal dott. Sidney Coleman, rappresenta una evoluzione del lipofilling, nella quale le principali cause di insuccesso della tecnica tradizionale sono state analizzate e, ove possibile, eliminate.
Il primo problema del lipofilling tradizionale che Coleman ha affrontato e superato con la sua tecnica è rappresentato dalla notevole quantità di cellule adipose che, durante un lipofilling tradizionale, venivano danneggiate dalla procedura di aspirazione e che, una volta infiltrate, non erano in grado di sopravvivere. La lipostruttura prevede che il prelievo del tessuto adiposo venga eseguito con siringhe molto piccole ed aspirando a bassa pressione, e che il prodotto dell’ aspirazione venga poi centrifugato per separare le cellule adipose vitali da quelle danneggiate e dai loro sottoprodotti. In questo modo la lipostruttura ottiene che si infiltrino esclusivamente cellule integre, in grado di attecchire nella loro nuova sede.
Il secondo aspetto risolto è relativo alla necessità di porre tutte le cellule infiltrate a diretto contatto con tessuti ben vascolarizzati. A questo proposito la lipostruttura richiede che l’ infiltrazione del grasso sia eseguita in molteplici piccolissimi canali, in ciascuno dei quali un ago deposita soltanto una minima quantità (meno di 1 ml.) di tessuto adiposo. La rete dei canali nei quali si infiltra il grasso crea una ‘struttura’ disposta su vari strati che ha appunto dato il nome alla nuova procedura.
Sfruttando al meglio gli accorgimenti proposti si è ormai in grado di utilizzare il grasso corporeo come filler permanente per la correzione di numerosi difetti, anche se permangono alcune limitazioni dovute sia alla quantità assoluta di grasso iniettabile che alle particolarità delle varie sedi anatomiche da trattare.
La principale indicazione per la lipostruttura è il ringiovanimento del viso e/o la correzione del profilo di alcune sue aree (zigomi, labbra, solchi naso-genieni, mento, mandibola, atrofie localizzate). Poichè con l’ invecchiamento la pelle del viso ed i tessuti sottocutanei perdono consistenza diventando più sottili, la lipostruttura può rappresentare in questi casi una soluzione ideale, sia eseguita isolatamente che in associazione ad un lifting del volto tradizionale. L’ associazione della liposuzione al lifting può consentire, secondo molti chirurghi, l’ esecuzione di procedure semplificate e meno invasive.
La lipostruttura può modificare i contorni del viso, ingrandendone selettivamente alcune aree. Ad esempio, è possibile ingrandire gli zigomi senza ricorrere a soluzioni con maggior rischio di complicanze, come l’ impiego di protesi. Sempre nel caso degli zigomi, però, andrà considerato che il profilo ottenuto con la lipostruttura non sarà mai ‘tagliente’ come quello ottenibile con le protesi, e risulterà invece più arrotondato e naturale.
Poichè il tessuto adiposo va iniettato profondamente, i risultati che si ottengono nell’ ingrandimento delle labbra, pur essendo permanenti, non sono comparabili, per definizione del profilo, con quelli ottenibili con i più evoluti filler riassorbibili iniettabili superficialmente (i filler sintetici permanenti, invece, vanno anch’ essi iniettati profondamente ed offrono risultati comparabili, o inferiori, a quelli della lipostruttura, risparmiando al paziente, però, l’ intervento necessario per il prelievo del grasso).
La lipostruttura viene raramente impiegata in aree in cui è necessaria una infiltrazione superficiale del grasso, come nella correzione delle occhiaie o delle cicatrici da acne. I risultati ottenibili in questi casi variano molto in base alla specifica esperienza del chirurgo con questa tecnica, ed esiste il rischio che i piccoli lobuli di grasso iniettato superficialmente possano generare delle irregolarità visibili sulla superficie cutanea. Anche nelle mani dei chirurghi più esperti, tuttavia, il rischio di irregolarità visibili dopo il trattamento delle occhiaie non è affatto trascurabile (pari o superiore al 20%).
Al di fuori del viso la lipostruttura è indicata per il ringiovanimento delle mani. Anche in questa sede l’ infiltrazione di tessuto adiposo consente di correggere l’ assottigliamento di cute e sottocute che è correlato all’ invecchiamento. E’ possibile associare la procedura a trattamenti che eliminino o riducano le macchie cutanee (laser, peeling o creme).
In altri distretti corporei si può utilizzare la lipostruttura per la correzione di atrofie tissutali localizzate (come ad esempio quelle a volte conseguenti ad iniezione intramuscolare di cortisonici), di perdite di sostanza traumatiche o iatrogene (dovute, ad esempio, ad una liposuzione eccessiva in alcuni punti), o per il rimodellamento del profilo corporeo (ad esempio per il riempimento della fossetta glutea).
L’ uso della lipostruttura per la correzione dell’ atrofia adiposa che compare, soprattutto al viso, nei pazienti HIV positivi in terapia con farmaci inibitori delle proteasi è stato proposto, ma non è, verosimilmente, risolutivo. La scarsità di tessuto adiposo in eccesso in questi pazienti, e soprattutto il fatto che l’ azione dei farmaci viene comunque esercitata anche sul grasso eventualmente trasferito, sollevano dubbi sulla reale praticabilità ed efficacia di questa soluzione.
|